Le tre vite di Giovanni Pini. L’artista che ha fatto della poesia la sua cifra stilistica, l’ellenista, studioso della lingua e della cultura dell’antica Grecia, di livello internazionale, il professore di talento che, dopo l’università, insegnò greco e latino nei Licei di Fermo, Cesena e finalmente, per molti anni al Liceo Classico Evangelista Torricelli di Faenza: l’approdo naturale per un docente come lui, con la passione per la cultura greca e soprattutto la naturale capacità di trasmettere quel sentire ai ragazzi, che seguivano affascinati le sue lezioni.
A quattro anni dalla sua scomparsa, il professor Giovanni Pini viene ricordato con la mostra antologica “Nello studio del pittore: un itinerario poetico nella memoria” che sarà aperta e visitabile dal 27 aprile (inaugurazione ore 10) fino al 26 maggio nelle giornate di venerdì, sabato e domenica negli spazi espositivi della chiesa di Santa Maria dell’Angelo a Faenza.
Luogo iconico perchè accanto al Liceo Ginnasio Evangelista Torricelli” dove insegnò per tanti anni.
I quadri esposti nell’allestimento sono circa un centinaio, realizzati con quattro diverse tecniche: dipinti a olio su tela e tavola, pastelli su cartone, polveri e sabbie naturali su tavola e collages su tavola.
La mostra omaggio dedicata a Giovanni Pini è organizzata dalla associazione Ex Allievi del Liceo Torricelli Faenza, con la collaborazione di Famiglia Pini e Museo Diocesano, con il patrocinio del Comune di Faenza e il sostegno de La BCC Banca di Credito Cooperativo Ravennate Forlivese Imolesee Chemifarma.
L’iniziativa comprende anche la giornata di studio dal titolo “Giovanni Pini pittore docente grecista” in programma sabato 1 giugno (ore 10) a pochi giorni dalla chiusura della mostra, nell’Auditorium di Palazzo degli Studi (via Santa Maria dell’Angelo, 1 a Faenza) a cui interverranno l’architetto Franco Bertoni direttore artistico Museo Ugonia di Brisighella, il professor Giovanni Casadio docente all’Università degli Studi di Salerno e il professor Luigi Neri, già preside del Liceo Torricelli-Ballardini.
Giovanni Pini ha incarnato il motto epicureo làthe biòsas (vivi nascosto), per il suo modus vivendi tutto concentrato sull’essere e sull’espressione della propria interiorità, lontano dagli specchi dell’apparire, nel silenzio della sua dimensione creativa.
Il professor Pini – con la modestia che lo contraddistingueva – si autodefiniva quasi sommessamente “autodidatta e artigiano”, ma è stato più che altro un homo faber di rinascimentale memoria, per la sua forma mentis, la sua cultura classica e il suo modus pingendi. Infatti, nel corso degli anni ha cantato una sua ben definita poetica, sperimentando e coniando particolari tecniche.
E la voce della poesia si distingue chiaramente nelle pitture di Giovanni Pini, opere silenziose e preziose che rispecchiano quello che era il suo carattere, schivo e riservato. Un artista che ha sempre dipinto liberamente raccontando le pianure romagnole, vecchie case e colline, qualche volta il mare o le capanne sul canale, sempre riducendone la composizione all’essenziale e filtrandone le atmosfere con una gamma cromatica tenue, leggera, silenziosa. Case, alberi, strade, fossi, a cui la sottrazione dei dettagli ha permesso di raccontare l’anima.
Giovanni Pini, nato a Bologna nel 1929, ha frequentato gli studi classici per poi laurearsi in Lettere Antiche all’Università di Bologna. Allo studio dei classici – ha tradotto dal greco il Panàrion di Epifanio, vescovo e scrittore greco del IV secolo, venerato come santo e Padre della Chiesa, un’opera monumentale a cui Pini lavorò dieci anni, e la Casa Editrice Morcelliana di Brescia pubblicò i tre libri di Epifanio per un totale di 2.576 pagine– ha sempre unito l’amore per il disegno e la pittura, cui si è dedicato sin da giovane, pur senza mai frequentare scuole ad indirizzo artistico, perseverando in questa attività anche nel corso di tutti gli anni in cui è stato docente di greco e di latino nei Licei di Fermo, Cesena e infine, Faenza. Lasciato l’insegnamento nel 1989, Pini si è dedicato totalmente all’arte e ha dipinto fino agli ultimi anni, nella soffitta del casale dove viveva, nella campagna di Solarolo. In tutti questi anni, ha allestito varie personali e ha partecipato a mostre collettive, ottenendo lusinghieri successi. E’ scomparso a fine 2020.
Pini è stato cantore della natura, della sua Romagna, realizzando soluzioni pittoriche di grande fascino: i paesaggi delle campagne e delle colline faentine – tra cui spicca la Torre di Oriolo dei Fichi- e i capanni della bassa ravennate, così come i suoi notturni, vibrano delicatamente avvolti da una dolce atmosfera sognante, elegiaca, quasi vellutata.
I colori lirici dei paesaggi sono ottenuti con pastelli che Pini fabbricava da solo, utilizzando e macinando elementi naturali, graduati in un’ampia gamma tonale.
Altra tecnica usata da Pini è un collage sui generis, che attesta la modernità del suo sperimentare, in continuo dialogo con le esperienze artistiche più significative del Novecento, a partire da quelle delle Avanguardie Storiche, evocando con pari sapienza – per dirla con Franco Basile- “gli accordi cromatici di Braque” e “le velate atmosfere di Morandi”, “i guizzi di De Pisis”e “le aggrondate stesure di Sironi”, i “raffinati intrichi di Dubuffet”e “le sapienti sezioni di Gauguin”.
Per questo l’arte di Pini costituisce un’eccellenza che canta il territorio della Romagna, in un continuo e costante dialogo con le correnti culturali del “Secolo Breve”.
La pittura di Giovanni Pini nelle sue parole
Giovanni Pini spiegava così il suomodo di dipingere: “La mia pittura è sempre stata interessata più al colore che al segno. Nell’amalgama delle tinte, sia ad acquarello, che preferivo usare in pasta e senza acqua, sia a tempera o ad olio, trovavo e trovo l’espressione a me più congeniale del mio pittorico. Per quanto non mi sono limitato ad un tipo- uno qualsiasi- di colore, nella mia costante ricerca autodidattica ho via via sperimentato svariati impasti e tecniche composite, ripetutamente studiandole e provandole per ricavarne espressioni adeguate. Così ho tentato in più modi di togliere la lucentezza, a volte disturbante, dell’olio, ad esempio, miscelando i colori a gesso e sabbia e ottenendo con ciò una densità più porosa e opaca. I colori a tempera adoperati su carta bibula con aggiunta di colle da legno acquistano un timbro meno squillante della tempera usuale. Coi toni spenti, gessosi ma caldi, dei colori a pastello si ottengono effetti impossibili con altre tecniche. I pastelli non sono però sovrapponibili, perché nella sovrapposizione precipitano in un composto sordo e insignificante. Così per avere la gamma quasi infinita dei toni intermedi mi sono fabbricato, fondendo in un collante adatto, terre colorate con altri pastelli reperibili in commercio (“Lefranc” o “Rembrandt”) : e uso questi pastelli fatti da me. Un altro esperimento, nel quale mi sono ormai da tempo esercitato, è il collage: non solo il collage con carte, secondo le vecchie tecniche del principio del nostro secolo, ma il collage con altri materiali, come polvere di pietre o marmi, sabbie, intonaco, sassi macinati. Una colla molto tenace li fissa al supporto e il colore resta piatto ed opaco. Questi materiali offrono uno spettro di tinte assai ridotto, dal bianco al grigio-violetto, dall’ocra al bruno, dal nero al rosso mattone, eppure talvolta è attraente poter giocare solo su una piccola scelta. I colori riescono naturalmente compatti e rigidi, ma con opportuni accorgimenti si possono anche ottenere morbide sfumature e chiaroscuri”.
La mostra “Giovanni Pini 1929-2020. Nello studio del pittore: un itinerario poetico nella memoria” sarà aperta nelle giornate di venerdì, sabato e domenica dalle ore 10 alle 12.30 e dalle ore 16 alle ore 18.30